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Il nichilismo


Il termine nichilismo (dal latino nihil = nulla) inizia a circolare in ambito filosofico alla fine del Settecento quando Jacobi utilizzò questo termine per connotare, negativamente, la filosofia trascendentale di Kant e il pensiero di Fichte. 
Socrate, nell'Antica Grecia, mette le radici del pensiero nichilista nel momento in cui l’uomo anziché accettare la vita, con la sofferenza intrinseca ad essa, iniziò a preferirvi la razionalità, la dialettica, la morale, la fede in un mondo delle idee o in un mondo ultraterreno come vera realtà, al di là di quella sensibile.
Nietzsche si definì come il primo vero nichilista e il nichilismo è una tema importante importante e molto presente nei suoi testi e nel suo pensiero. 
Il nichilismo ''negativo'' utilizzato da Nietzsche farebbe parte di una serie di manifestazioni di un atteggiamento che nullifica l’uomo e la vita, una perversione dello spirito, la malattia più profonda della civiltà occidentale.
Mentre il nichilismo ''passivo'', ovvero l'esito più estremo della corrente, va identificato con la morte simbolica di Dio, ossia con la condizione propria dell’uomo moderno che, dall’Illuminismo in poi, ha messo in crisi i valori tradizionali e crede sempre meno in essi.
Infine esiste un nichilismo ''attivo'', quello proprio dell’oltreuomo che, partendo dall’annuncio stesso del nichilismo e della morte di Dio, si avvia già a un suo superamento; infatti  avere la consapevolezza di avere un pensiero e un atteggiamento nichilista sarebbe già un segno di forza dello spirito, la cui energia, cresciuta al punto tale da far ritenere le precedenti convinzioni inadeguate, darebbe luogo a un ''contromovimento'', opposto alla decadenza.
Il decadentismo europeo è una corrente del '900 molto vicina al pensiero di Nietzsche, dove l'uomo è da solo nell'universo, e ciò ha molto influenzato i testi e i temi di D'Annunzio. 


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